Tutto a capo

Tutto a capo

Conversazione con Ermanno Casasco a cura di Eleonora Fiorani

Fiorani: A partire dagli anni Ottanta abbiamo visto anche in Europa il ritorno del giardino come grande protagonista della trasformazione e della ridefinizione della città postmoderna: nella riconversione delle periferie industriali, dei terrains vagues, nella gentrificazione degli spazi urbani, nei nuovi luoghi di consumo.

Dunque Ermanno, tu che sei un landscape gardener che ha studiato in California, e costruito giardini in Italia e nelle più diverse parti del mondo, in Europa, nel Medio Oriente, negli USA e anche nei più sperduti luoghi, oggi mecche del turismo, come le isole Cook in Polinesia, dimmi che cosa ti pare mutato nel rapporto con il giardino. E di quale giardino o parco si tratta?

O meglio, abbiamo ancora a che fare con il giardino o si tratta dell'ennesimo non luogo, di giardini contenitori di eventi oppure di giardini o parchi a tema, cioè di incantati mondi artificiali in cui sperimentare temi come la natura tropicale o altri, oppure simulare mondi, in un tempo sospeso e in una natura finta?

Casasco: L'architettura del giardino globalizzato progetta lo stesso giardino, come lo stesso edificio ovun-que, senza tener conto del luogo, della cultura locale, della storia. Ne risultano, per i giardini, degli allestimenti provisori, che non hanno radici nel territorio e sono destinati a essere sostituiti o rifatti.

Fiorani: Insomma un "giardino usa e getta" o "di figura" e arredo temporaneo. E così anche in Italia, che sta giungendo per ultima alla corsa verso il giardino contenitore di eventi o territori gentrificati?

Casasco: Anche in Italia, dove si presume ci sia una profonda e diffusa cultura del giardino, la si è presa o la si è dimenticata a favore di una colonizzazione americana o straniera. Ne sono un chiaro esempio i progetti di parchi e giardini per la città di Milano, dove è "d'obbligo" inserire il nome di un architetto straniero, se si vuole dare credibilità al progetto; e lo slogan o motto con cui vengono presentati determina, più dei progetti, la loro vittoria. Accade quindi sempre di più che si realizzino progetti che non hanno nessun rapporto con la nostra cultura e con il loro ambiente. Forse, nei prossimi parchi, che ricorderanno sempre più quelli di Chicago o di New York, avremo aree per il baseball invece che per il calcio. È venuta meno per il giardino ogni forma di identità e di senso critico, e non solo per il giardino. È ormai come nella moda, tutto è moda: c'è solo il nome.

Fiorani: Tu mi dici allora che l'attuale ritorno del giardino è in realtà un'alienazione del giardino.

Casasco:  Si, è proprio così. Perché, vedi, oggi è il mercato che detta la legge del giardino. Ti faccio l'esempio dell'inutile e ossessiva potatura degli alberi, un vero e proprio business, che anima intere scuole di potatura, ciascuna ha la sua, l'ultima è quella a tre quarti nella città; in Liguria, dove gli olivi tolgono la vista al mare e non servono più per la produzione di olive, la potatura è totale: via tutta la chioma, rimane solo il tronco, è come dire "a minigonna" proprio come nella moda delle gonne lunghe o corte a seconda del luogo e della moda. E potrei farti l'esempio di quella del mercato dei fiorellini, un'industria che, con gli appalti, vive dei fiori stagionali che hanno sostituito l'arbusto e l'albero nel giardino e nel parco. Possiamo quindi parlare di una commercializzazione del giardino che è diventato un bene di consumo.

Non si vive, ma si consuma il giardino o il parco. Oggi le isole Cook sembrano la periferia di Miami. Come è avvenuto del resto a tutte le isole tropicali. Ad Antigua, per esempio, che è un'isola dei Caraibi, sono state introdotte le palme da cocco che non esistevano e ben difficilmente possono sopravvivere agli uragani che le capitozzano, perché è quanto si aspetta di vedere un turista e appartengono dunque all'immaginario della colonizzazione inglese. lo non sono certo un purista - atteggiamento che considero privo di senso e di fondamento - e, come sai, ho sempre introdotto la ricerca botanica nei miei giardini, ma ci sono dei vincoli, quelli della compatibilità, posti dalla natura del terreno, dal clima e dal paesaggio.

E io mi sono sempre fatto guidare dal paesaggio, come fanno i contadini che "annusano" e "assaggiano" l'aria e la terra. E poi i rapporti tra architettura e giardino non sono sempre tra i più felici, per cui il giardino viene sacrificato all'architettura e quindi ridotto a pura citazione o segno per non creare, con gli alberi, "disturbo" o ombra all'architettura.

Oggi gli architetti italiani sono diventati automaticamente anche paesaggisti, a differenza degli USA e di altri paesi dove le due professioni sono ben distinte, quindi l'ultima difesa del paesaggio è caduta. È vero che ci sono architetti bravi e preparati, ma sono pochi, e per il resto è come mettere un branco di lupi a guardia di un gregge: è vero pure che i lupi amano le pecore... per mangiarle. George Gromort (1934), Gaston

Bardet (1951) già trattano questo problema. Questo mio modo di pensare nasce da esperienze dirette, temevo di essere un paesaggista frustrato, ma anche Philippe Nys in "Le jardin exploré" spiega molto bene questo dualismo tra architettura e paesaggio.

Fiorani: Hai forse qualche tensione con gli architetti?

Casasco. Non è cosi, perché con i bravi architetti professionisti capaci e coscienti, ho un'ottima collaborazione.

Fiorani: Oggi tutte le riviste hanno una rubrica del verde o pubblicano grandi serviti sui giardini diffondendo  la cultura del giardino tra i mass media.

Casasco: Ci sono infatti i giardini del immagine, quelli “fatti” dai fotografi. I giardini vengono selezionati a seconda della loro "fotogenia: Sono giardini dell'occhio senza sguardo, pure immagini che non trovano poi riscontro con la realtà. Qui dettano legge le grandi riviste patinate che selezionano i giardini in base a criteri di estetizzazione formale dell'immagine. Ne risultano paradossi di questo tipo: un giardino fatto di soli iris, che hanno una fioritura di 10-15 giorni. Non parliamo poi delle rose, che devono essere assolutamente inglesi, assolutamente non quelle persiane o iraniane: rose musulmane e "terroriste’’ (le più profumate) nel giardino? E che succede poi, a fioritura finita?

L'immagine non ci fa vedere com'è il giardino spoglio, non più ammantato dai fiori. Ci sono ormai troppi giardini dell'immagine, dell'apparire a tutti i costi, fatti di trovate, ma senza struttura né consistenza.

Ogni rivista cerca poi un suo stile: il giardino country, il giardino provenzale, il giardino esotico, difficilmente giardini che facciano riferimento al nostro clima o alla nostra cultura.

II paesaggista italiano deve andare all'estero per poter costruire il giardino che non gli è permesso di fare in Italia. Bisogna dire che l'Eden è un sogno che si crea ovunque e si pensa che sia più facile trovarlo fuori casa. Il detto: "l'erba del vicino è sempre più verde" è più vero che mai.

Fiorani: Ahimé oggi tutto è a tema, la città, i parchi, i ristoranti, gli alberghi, le sfilate della moda....

Casasco: E che dire del giardino minimalista, che pensa il giardino in termini di arredo o di pura citazione? I vasi sostituiscono la terra: mi verrebbe da dire, ironicamente, che i vasi sono più decorativi e fotogenici dei percorsi, dei sottoboschi di un giardino, per cui in giardino abbiamo piante in vaso. E ovviamente il tutto è sostenuto da un florido mercato.

E poi c'è il giardino architettonico e grafico. Ti posso fare l'esempio del giardino André Citroën, a Parigi, bellissimo da vedere dall'esterno, dal fuori, ma paradossalmente invivibile e non percorribile. Non ci sono alberi che facciano ombra, c'è solo un grande prato verde, tenuto sempre umido, e i sentieri caratteristici del giardino a tema e le grandi serre di vetro, infuocate d'estate e gelide d'inverno. Non è un giardino da vivere, ma un'immagine visiva, che più che innovativa in senso profondo, combina idee prelevate di altri progetti, inserendo in un patchwork le idee migliori in modo sbagliato di grandi paesaggisti come Luis Barragan e Dan Kiley (le magnolie in vaso in mezzo all'acqua come le metasequoie di Dan Kiley a Dallas), riprese poi a Parma con i pioppi.

Fiorani: Beh sai com'è, la natura è disordinata anche nell'artificiale del giardino, ti prende sempre la mano, e non è mai del tutto prevedibile, non la puoi mai ridurre a pura forma...

E poi oggi ciò che interessa del giardino è la sua teatralità. E mi sembra che in questo senso vada anche letta la tendenza a incamerarlo all'interno degli edifici.

Non solo il giardino entra nella città come uno dei se-gni, ma viene incapsulato nei grattacieli, nei nuovi centri di consumo, uffici, stazioni, musei... a fare tutt'uno con la metropoli dello spettacolo e degli eventi.

Casasco: In realtà è tutto il giardino che è in questione. Il giardino non ha più la funzione del giardino, è un'ostentazione grafica e architetturale del verde, è puro divertimento; il giardino più bello è quello più fiorito. Di qui la prevalenza anche della falsa botanica che nasce dall'ignoranza dell'albero e delle sue origini. Ho visto crescere e prosperare sull'Atlas le palme nane che siamo abituati a vedere crescere in Sicilia vicino al mare, per cui ti contestano se le usi lontano da questo paesaggio. Gli alberi crescono dovunque gli funzioni l'ambiente. A ciò va aggiunta la falsa tecnologia con i costi esagerati dei tecnici che fanno le analisi, le rilevazioni, le misurazioni e per gli impianti 'irrigazione, mentre non si è altrettanto disponibili a spendere per una giusta preparazione del terreno e piantumazione.

Fiorani: È cambiato qualche cosa nel tuo modo di fare il giardino?

Casasco: Non è cambiato nulla, è piuttosto accaduto che, con l'età, oggi posso fare i giardini che all'inizio non mi lasciavano fare. Infatti, come sai, ho cominciato tardi a fare il giardino, pur avendo per esso interesse fin da piccolo, e questo ha significato che avendo molto viaggiato e quindi visto i diversi paesaggi e giardini del mondo, ho portato nella progettazione del giardino questa mia conoscenza.

Intendo dire che a me non interessa tanto elaborare un mio stile quanto quello di creare un giardino in relazione con l'ambiente, immettendo in esso gli aspetti profondi, naturali e culturali, del sedimento ambientale e storico. Non sono uno storico del giardino. Per fortuna, così dicono, sono abbastanza ignorante  quindi non sono condizionato da preconcetti e seguo il mio istinto o ciò che mi suggerisce il luogo. Ho fatto il mio primo giardino in Sicilia non alla prima visita, ma dopo dieci anni che andavo in Sicilia. Ho fatto il mio primo giardino in Turchia dopo un lungo tirocinio di visite e manutenzioni di giardini già esistenti.

Quando ho costruito il mio primo giardino in Turchia, Gilberto Oneto mi ha fatto notare che era un giardino ottomano, citando esempi del passato che io non conoscevo e non avevo mai sentito. "L'ignoranza" ti dà il coraggio, troppa cultura ti frena o ti porta a copiare, a costruire un giardino calcolato, freddo, privo di quell'istinto o sensibilità o incoscienza che deve avere un giardino.

Fiorani: Vuoi, insomma, che il giardino sia di quella terra o di quel luogo. E ciò che tu dici. Ed è tra l'altro proprio questo che rende immediatamente riconoscibili i tuoi giardini e va a costruire il tuo stile. Tu cerchi e ricrei i paradisi, le mille forme in cui l'uomo, abitante della terra, anche dei più sperduti angoli del mondo, ha sognato la terra senza male e il giardino delle delizie.

Casasco: E del resto il giardino, quello vero, intendo, non ha i tempi corti della storia della politica e degli avenimenti, ha il tempo lungo della terra e del bosco, è in un certo qual senso "fuori dal tempo".

Fiorani: Direi che ha una sua complessa temporalità che coniuga insieme l'effimero del giorno e della notte, la ciclicità stagionale e il tempo lungo delle mutazioni nel sempre ritornare. Il giardino è antico e modernissimo allo stesso tempo.

Casasco: Per questo penso che, nonostante oggi si facciano giardini-immagine o dell'effimero, ci sia speranza per il giardino. E la riscontro non solo nella domanda di giardino sempre più diffusa, ma anche nella mia attività di insegnamento, nella serietà e interesse dei giovani che si stanno formando e cominciano a operare in questo settore. Il giardino, quello vero, non ha mai interrotto la sua storia, come l'orto e l'architettura, anche se hanno attraversato momenti bui. Appartiene anche lui a una storia d'élite culturale.

Fiorani: Qual è il giardino in cui più ti riconosci o che hai amato particolarmente fare?

Casasco: Uno dei primi, il giardino di Bordighera, originariamente progettato da Porcinai (ma a quel tempo non si sapeva fosse suo), e ormai perduto e tutto da ricostruire e da riprogettare. Era come se ne sentissi la presenza o l'ombra. È stato molto bello e importante, è stato come ricostruire una città dalle sue rovine. La storia è ciclica. Le giovani generazioni contestano sempre i periodi precedenti riconoscendone gli errori. L'uomo va avanti proprio perché rinasce continuamente.

Fiorani: Cosa pensi del giardino storico?

Casasco: Alcuni li trovo bellissimi, stimolanti, altri puri e semplici arazzi. È come cercare di paragonare un castello a un grattacielo. Appartengono a un mo mento storico e a un modo di vivere che non mi appartiene. Il giardino è vivo e si evolve, costringerlo dentro forme e schemi diventa quasi impossibile e va rivisto in continuazione. Circola o è forse già iniziata a operare la tesi di distruggere i giardini storici per ricostruirli come erano all'origine. Forse è giusto per i giardini storici, ma io che mi rammarico di non vedere crescere la quercia o i faggi che ho piantato, ritengo che sia una tesi che proprio non mi riguarda.

Se un idiota fra cento, duecento anni, arrivasse a pensare di togliere questi alberi per riportare il giardino all'origine, tornerei se fosse possibile a tagliargli qualcosa d'altro.

Fiorani: Chi consideri nel Novecento tuoi maestri?

Casasco: Si impara da tutti e sono tanti i miei maestri del presente e del passato, ma maestro è solo chi ti segna in qualche modo, e allora per me è stato ed è decisivo il rapporto con Gilberto Oneto, con il suo modo di vedere e praticare il giardino e, diversa-mente, anche con te, che non fai il giardino ma lo pensi e lo ami. E ritengo inoltre che sia stato decisivo il fatto che ho ideato giardini nelle diverse zone italiane: dalla Lombardia alla Sicilia. Fare il giardino in Italia, dove sono presenti paesaggi e culture tanto diverse e così antiche, significa misurarsi con la storia del mondo: non c'è solo il giardino all'italiana, c'è il paradeisos mediorientale, il giardino arabo, l'hortus conclusus... E però il grande maestro è sempre stato per me il paesaggio, intendo il deserto o la foresta o le colline dell'Appennino emiliano.

Fiorani: A quando il "giardino dell'oasi" che una vol-ta, di ritorno di tuoi viaggi nel Medio Oriente, mi hai detto che sognavi di fare? Lo sai, vero, che i tuoi occhi sono sempre lucenti quando torni dai tuoi giardini nel mondo: sono pieni di sogni dell'altrove.

Casasco: Mi sto avicinando a ciò con i giardini che ho fatto in Marocco... Lo sto anzi già facendo, ricostruendo il paesaggio da sogno o il paradiso di quella zona e cultura che, nel deserto del Sahara, è l'oasi.

Mi affascina il deserto dove è nato il giardino paradisiaco, giardino tra quattro mura, è veramente l'Eden.

Ma non bisogna andare nel deserto del Sahara per costruire un'oasi; anche nelle grandi città, nel "deserto di cemento", può sorgere un'oasi; Central Park progettato da F. Olmsted a New York ne è un esempio.

Fiorani: Forse dell’oasi oggi abbiamo tutti bisogno