
Il Giardino
Ermanno Casasco
Il mio primo giardino segnò il passo
Alla fine degli anni Settanta, quando in Italia si parlava ancora poco di architettura dei giardini, mi accorsi che per imparare a progettare, sarei dovuto andare all'estero; fu così che partii per la California, dove ho avuto la grande fortuna, oltre che il privilegio, di seguire corsi con coloro che sarebbero diventati i più grandi paesaggisti americani degli anni Ottanta. Ma il mio primo giardino l'ho progettato prima, anzi: è stato proprio grazie a quel giardino che ho pensato valesse la pena completare la mia professione negli USA. Ero a Londra per studiare l'inglese, e i proprietari della casa in cui ero ospite mi proposero di rimettergli a posto il giardino per un po' di pocket money, fu così che, partendo da qualche fiorellino, arrivai a riprogettarlo tutto, con tanto di laghetto. Il giardino piacque tanto che mi offrirono di rimanere in Inghilterra per aprire con loro un business coi giardini.

Ho incominciato a lavorare come libero professionista nel 1977, e si può dire che abbia avuto fortuna fin dall'inizio, perché ho incontrato persone come Marina Rovera, Paola lacucci, Piero Pinto, Gilberto Oneto e Nani Prina che credevano in me e mi hanno aiutato. II grande scatto, che ha costituito un cambiamento davvero importante per me, è stata la scoperta degli olivi siciliani. Sempre agli inizi degli anni Ottanta mi proposi al comune di Ghibellina, vicino a Trapani, per risistemare i loro giardini: avevano bisogno di piante, ma non potevano spendere per acquistarle, così, vedendo gli olivi secolari che in quella regione venivano estirpati per far posto ai vigneti, pensai di farglieli trapiantare per usarli come piante ornamentali. Il risultato fu un omaggio al paesaggio agreste. La nota curiosa è che da allora è come se fosse scoppiata improvvisamente la moda degli olivi, tanto che tutti i vivaisti hanno iniziato a venderli per piantarli anche nei giardini del Nord Italia e all'estero.

Un giardino deve essere bello sempre
Sembra strano ma, malgrado realizzazioni in mezzo mondo, non ho ancora pensato al giardino della mia vita, forse perché ogni volta che inizio un giardino mi carico d'entusiasmo e tutte le volte che ne incomincio uno nuovo mi sembra il più bello. Mi piace fare giardini ovunque, non ho preferenze perché ogni luogo ha qualcosa da insegnarmi. Il clima italiano può essere diversissimo: al Sud puoi usare piante gigantesche, capaci di donare un risultato di "pronto effetto, eppure la bellezza dei giardini nordici non ha paragone, perché la loro vegetazione rivela e segna le stagioni. Infatti, le mie piante preferite sono proprio quelle capaci di esaltare nel giardino il senso del tempo che passa: essenze da fiore, ma anche con foglie che si colorano e cadono, rivelando tronchi armoniosi. Il giardino deve essere bello tutto l'anno, non solo a primavera, quando esplodono le fioriture di ro-se, rododendri, gerani o impatiens. Mi piacciono i cespugli piantati a gruppi ai bordi del prato, quelli più ordinati, come il pitosforo, l'eleagnus o il bosso, e quelli selvaggi, e mi incantano le piante fiorite e vigorose come il cornus, la lagestroemia, l'oleandro, l'ortensia. Intendo così anche il giardino moderno, che deve essere costruito con spazi e volumi disegnati da un segno forte e ordinato allo stesso tempo.
Ordine e disordine: siepi e prato libero con il concetto di radura spontanea, un micro-paesaggio libero e di facile manutenzione; ecco il mio modo di pensare il giardino: ordine e disordine.
Certo però che, se dovessi dire quali sono le mie piante preferite in assoluto, sceglierei proprio l'olivo, la quercia, il faggio, il cipresso e la palma. Mentre tra le piante fiorite preferisco i cespugli, in particolar modo i cornus florida, perché, come i viburni (l'intera famiglia), riescono a essere ornamentali, discreti e appariscenti allo stesso tempo.
L'olivo è per me l'emblema del giardino mediterraneo, che non ha un unico volto, ma i mille delle popolazioni e delle civiltà che hanno animato la lunga storia del "mare nostrum", come lo chiamavano i ro-mani, e si è nutrito degli scambi di civiltà, tra Asia, Africa, Europa che, qui più che altrove, sono stati fitti e profondi. In questa "culla di civiltà" prende avio il giardino mediterraneo, che non è chiuso ma in divenire. A questa tradizione e alla grande sfida che essa presenta a chi vuole misurarsi col giardino, si è sempre ispirato il mio lavoro di paesaggista. E’ un lavoro trentennale che ha percorso le antiche rotte all'inverso: parte dal Nord Italia per ritornare ai luoghi dell'origine, nella Magna Grecia con i giardini siciliani, nel mondo arabo del Magreb, e nei luoghi della moderna mezzaluna fertile con la Turchia e tra i grattacieli di New York. Così non progetto mai un giardino in astratto e per se stesso, ma secondo il luogo e secondo le mie radici mediterranee. Quest'adeguamento o adesione al luogo è ciò che mi permette di mantenere la sua armonia di foglie e colori con il paesaggio, di bilanciarlo con gli spazi e i volumi. Inoltre non chiudo mai il giardino in se stesso, ma cerco sempre di aprirlo sul paesaggio. E inserisco l'ordine formale del giardino all'italiana senza renderlo duro e squadrato, armonizzandolo con quello che è il giardino naturalistico: è il mio modo di sentirlo mescolando insieme il contadino e il viaggiatore.
Ci sono delle ragioni strutturali relative alla costruzione del giardino che mi hanno indotto ad operare questa scelta. Il rispetto del luogo innanzitutto, e la consapevolezza che per un giardino sono fondamentali l'intensità della luce e il gioco delle ombre.
Inoltre, ho sempre mantenuto una certa libertà sia rispetto alla tradizione sia rispetto alle mode. Non mi ha mai convinto, per esempio, l'esasperata ricerca del 'naturalistico e dell'autoctono" che hanno dominato gli anni Settanta. Il giardino non ripete moduli, ma continua la sua storia e vive nella capacità di rinnovamento. Come possiamo vedere oggi che si nuovo nel giardino quell'ordine formale che del Rinascimento, in contrasto, a me sembra, con il di sordine sociale e le incertezze rispetto al futuro.
Viaggiare e costruire giardini in diverse parti del mondo, l'attenzione per i desideri o sogni dei com mittenti, il coraggio della sperimentazione, che sempre controcorrente, mi hanno consentito di anticipare scelte che poi sono diventate di moda. Per lare degli esempi: ho reintrodotto l'olivo in giardino, non solo in Sicilia, ma nelle zone lacustri, e così la palma, il bosso o il cipresso. Naturalmente, questi interventi sono sempre stati accuratamente selezionati per zone climaticamente adatte.
L'attuale utilizzo indiscriminato e intensivo è invece un disastro. Come del resto è stata ed è disastrosa l'introduzione della robinia, degli abeti e dei pini nelle zone pianeggianti e collinose. Per fare un altro esempio: ho sempre considerato e praticato l'esotismo come peculiare del giardino e della sua sperimentazione, ma per me è solo un accento e non è mai diventato l'elemento dominante che trasforma il paesaggio. II giardino viene dall'orto come luogo di sperimentazione e ricerca di nuove piante che poi entrano nel paesaggio, ma i miei giardini rimangono mediterranei. Così come attraverso il filtro del giardino all'italiana e del suo meraviglioso ordine formale, che è equilibrio di spazi e di volumi e non forma geometrica, prendono avvio i miei giardini sempre locali e sempre da reinventare.
Sono tanti i debiti che in trent'anni di lavoro si sono accumulati: anzitutto le persone che hanno creduto in me: Zeynep Fadillioglu , Marina Rovera, Paola lacucci, Piero Pinto, Nani Prina, Graziella Clerici, Diana Terragni, oltre al mio primo maestro: il professore Fischer (docente di Landscape Design a San Francisco).
Devo molto agli artisti con cui sono entrato in contatto e con cui anche ho avuto occasione di lavorare:
Nanni Valentini, Alighiero Boetti, Giovanna Canegallo, Arnaldo Pomodoro, Gianfranco Pardi, Laura Panno, Lucio Del Pezzo, ed ai grandi maestri dai quali ho preso spunto, idee e modi di operare: Gilberto Oneto, Isamu Noguchi, Thomas Church, Frederick Law Olmsted, Dan Kiley, Frank Lloyd Wright, Luis Barragan, Garret Eckbo, Luis I. Kahn, Richard Neutra, Henry e Charles Green, per citarne alcuni. Grande maestra è stata la natura, nelle espressioni più belle e diverse che ho conosciuto durante i viaggi nei paesaggi e nella cultura, tra i quali annovero solamente quelli per me più significativi: tutta la zona dello Yucatan, i paesaggi degli USA, il Guatemala, il Giappone e l'India, il Perù, la Persia, la Turchia e naturalmente l'Europa e, contrariamente a ciò che di solito si immagina, le grandi zone desertiche del Marocco, dello Yemen e dell'Australia, che mi hanno influenzato più delle foreste pluviali.
Ermanno Casasco