
Castel di Mezzo, Pesaro
1997
La migliore architettura è quella che si integra nel paesaggio, il miglior giardino è quello che si integra con gli edifici. Il migliore risultato in assoluto è costituito da un insieme nel quale architettura e natura diventano una sola cosa, un groviglio inestricabile di immagini e sensazioni.
Quando non si distingue più il confine netto fra quel che è artificiale e quel che è spontaneo, allora le cose funzionano meglio: lo provano la natura stessa (con i suoi ceselli di pietra e di vegetali) e l'architettura tradizionale (che è la cosa più vicina ai linguaggi della natura) che sembra essere un prolungamento del terreno. Purtroppo uno degli aspetti peggiori, e il più forte marcatore, di certa cattiva architettura (soprattutto moderna) è costituito proprio dalla netta separazione tra edificio e paesaggio: la costruzione diventa un oggetto estraneo, posato sul terreno, senza legami di nessun genere col luogo.

A volte la separazione è sottolineata con vigore dai progettisti, spesso sono gli utenti a volersi allontanare con decisione dalla natura e dalle sue espressioni vegetali, ma anche animali. Esiste una paranoia diffusa contro gli alberi troppo vicini alle case, contro il verde interno, contro i rampicanti, tutti accusati delle peggiori nefandezze contro la stabilità degli edifici e l'incolumità dei loro abitanti. Per fortuna non sono affetti da tale sindrome né il paesaggista Ermanno Casasco,
che altrimenti non avrebbe fatto questo mestiere, né l'architetto Toni Facella (progettista dell'e-dificio), né il proprietario della villa con giardino nei dintorni di Ancona. E sono stati tanto sani e abili da fare dell'architettura e del verde una sola cosa, nella quale non si capisce più dove cominci l'uno e finisca l'altro. In particolare, il paesaggista ha saputo con gusto e misura "rivestire" l'edificio ma anche porticati e gazebi, avviluppandolo letteralmente in una coltre vegetale che lo lega al paesaggio con tanta forza e intimità da fargli perdere ogni definizione fisica.
Ne risulta una sorta di incantesimo che trasforma i locali dell'edificio in parti del giardino e viceversa. L'affascinante ambiguità dei ruoli è rafforzata dagli arredi vegetali degli spazi interni, con i quali l'edificio si trasforma in volume vegetale, ma anche dalle scelte cromatiche delle fioriture, che imitano e riprendono il bianco delle murature, delle tende e degli ar-redi, e che trasformano la vegetazione in scampoli di edificio.
Gilberto Oneto (da "Ville Giardini'", novembre 1999)